
“[…] G. ora cammina, fa le scale, gioca a calcio, scrive a macchina, e ci fa un sorriso grande così… I medici avevano dato questa sentenza: non camminerà, non vedrà, non sentirà; e invece G., con l’aiuto della sua mamma e del suo papà, ce l’ha fatta! […]”
Sfogliando in questi giorni un vecchio raccoglitore trovato in sede, contenente testimonianze, articoli e testi di AGOR prodotti nei quarant’anni di lavoro con bambini disabili e le loro famiglie, mi è saltata agli occhi questa frase presa da La storia di G., che la sua famiglia tanti anni fa ha scritto per essere di aiuto e dare coraggio a tante altre famiglie che si trovano in situazioni analoghe alla loro. È una storia lunga ma molto toccante. Ve la racconto.
G. è nato sano, ma dal primo giorno di vita la sua pelle ha iniziato a diventare sempre più gialla per l’ittero neonatale, tanto che fu necessario un trasferimento in un ospedale più attrezzato, per le dovute cure. È rimasto in osservazione per quasi un mese, fino a quando i medici constatarono che l’ittero aveva provocato una grave cerebrolesione, che avrebbe impedito qualsiasi movimento volontario di G. e molto probabilmente portato anche cecità e sordità.
Nonostante l’enorme dolore, la famiglia non si è data per vinta, tentando di fare il possibile e l’impossibile, per cercare di “ridare la vita a G.”, tanto che ha stravolto le proprie dinamiche per trasferirsi in una Casa Famiglia, dove, tra tanti altri bambini, terapisti e assistenti con pazienza dal lunedì al sabato cercavano di stimolare G. con esercizi di ginnastica e di linguaggio.
Il tempo passava, G. cresceva ed era sempre felice e socievole con tutti, e nonostante non riuscisse a parlare, aveva imparato a farsi capire con i gesti. La situazione quindi procedeva, ma l’intera famiglia aveva bisogno di “tornare alla normalità” a casa, e così i genitori, con tanti dubbi ma con anche tante speranze, decisero di rientrare al loro paese, e di seguire con G. un nuovo metodo, studiato in America e insegnato a Verona (in AGOR): la terapia per la riorganizzazione neurologica.
Iniziarono così questo percorso fatto di insegnamenti precisi, con esercizi specifici da ripetere un certo numero di volte durante la giornata, con sequenze specifiche, per la stimolazione di udito, vista, motricità e anche per l’apprendimento e la lettura.
Chi tuttora segue il progetto di AGOR sa che si tratta di un enorme lavoro, che richiede fatica, costanza, sacrificio e concentrazione, per il bambino in primis che deve eseguire gli esercizi, ma anche per i familiari che devono accompagnarlo: la famiglia di G. si rese presto conto che avrebbero fatto molta fatica loro soli a far seguire al figlio questo programma, e così chiesero aiuto ad amici e volontari, che iniziarono a supportare G. con gli esercizi, garantendo e portando avanti in questo modo tutto il lavoro richiesto.
“[…] G. era un bambino intelligente: aveva la sensazione precisa che quel lavoro gli faceva bene, anche se gli costava tanto sacrificio.
E un giorno volle provare a camminare, prima tenendosi alla mia mano, e poi da solo. Camminava, camminava e camminava, e non volle più vedere la carrozzina. Dopo alcuni mesi volle fare le scale! Che spavento il mio: ad ogni istante poteva cadere, ma continuò a provarci! Le prime volte si teneva alla ringhiera, ma poi imparò a salire e scendere con perfetto equilibrio. […]
G. frequentava le scuole normali (con l’insegnante di sostegno) e il suo sogno più grande era quello di riuscire a dare un calcio alla palla, come tutti i suoi compagni. E un giorno ci riuscì, con tanta gioia di tutti i suoi amici, e quello divenne il suo gioco preferito!
“[…] G. ora frequenta la III media, in una scuola normale con una valida assistente che riesce a capirlo. Ha ancora grosse difficoltà di comunicazione, e per questo deve usare la macchina da scrivere, non solo per i compiti ma anche per le interrogazioni. E poiché la sua coordinazione di braccia e mani non è ancora perfetta, è stata posta sulla macchina da scrivere una sottile striscia di metallo, con dei buchi in corrispondenza delle lettere, così le dita, battendo, sono trattenute dal metallo e non scivolano più sui tasti di plastica.[…]
Credo che in queste ultime righe ci sia la più grande forma di amore verso il figlio, e tutta l’enorme forza di una famiglia che, senza arrendersi, ha cercato l’aiuto giusto per migliorare la vita del figlio.
Ed è proprio questo che fa AGOR: insegna ai genitori cosa fare e li forma, per renderli sempre più consapevoli che, anche se il danno cerebrale riscontrato è gravissimo e sembra irreversibile, si possono “fare cose” e attivare quei processi per offrire al bambino la “miglior vita possibile”.
“[…] E dopo G. cosa farà? È un grosso problema, ed un grande pensiero. Ma spesso lui riesce a stemperare le nostre preoccupazioni con la sua allegria, e con la sua grande voglia di vivere.”
