Lettera di una mamma

Pubblicato il 23 Giugno 2025

Lettera di una mamma.

Il campanile della Chiesa di fronte all’ospedale batteva le cinque: avevo dormito 3 ore, e subito realizzai che da 6 ore ero diventata mamma!

Non vidi la piccola quando nacque perchè, essendo prematura, la portarono subito in incubatrice ma, il sangue che scorreva veloce nelle mie vene si era arricchito di qualcosa che io decisi di chiamare ‘amore’! Amore per quell’esserino ancora sconosciuto, ma che ben presto imparai a conoscere attraverso i vetri dell’incubatrice.

Era una bimba tranquilla, non si muoveva molto e io pensai, con orgoglio, che assomigliava certamente al suo papà (che è un uomo equilibrato e tranquillo).

Ogni giorno salivo al 7° piano a vedere il mio batuffolo e, col naso schiacciato contro il vetro, sognavo!…

Me la vedevo già grandina, che camminava tra mamma e papà col nasetto rivolto all’insù e le sue piccole mani tra le nostre… Da allora, per prudenza non sogno più!

Il tempo passava, e alla soglia dei 2 anni ancora M. non camminava. È pigra, diceva la pediatra, dovete pazientare, vedrete che si deciderà!

Realizzammo alfine che M. non era pigra, era stata colpita da una tetraparesi spastica distonica, prevalente agli arti inferiori. Fu infatti questa la diagnosi che ci fu “scandita” da un medico dell’Istituto Neurologico della nostra città. Credo che nessun “Premio Nobel” saprebbe descrivere lo scoramento, la disperazione, l’incredulità che quella notizia aveva messo in corpo a noi genitori.

Fu così che, col cuore gonfio di una pena indicibile, tornammo a casa col nostro “fagottello” tra le braccia.

Seguì un periodo di ribellione (parlo per me): non credevo, non volevo credere, che fosse vero… La sera mi addormentavo piangendo e pregando e anche… imprecando, ma nulla successe…

Tre mesi dopo iniziarono le terapie di riabilitazione presso lo stesso istituto. Nessuno ci aveva spiegato bene di cosa si trattava, né ci davano informazioni sul perchè di certi esercizi che facevano compiere alla bambina. Dovevamo fidarci e basta.

A me, tutti quei camici bianchi facevano soggezione per cui tenevo per me tutti gli interrogativi che avrei voluto porre a quei boriosi medici!

Ogni semestre avevamo un colloquio col neurologo, circa i progressi di M. ma, ricordo, mai una volta siamo usciti sereni da quelle visite. Passati 2 anni di terapia, M. sapeva a malapena rotolare e strisciare… non ci bastava!

Un giorno però la fortuna bussò finalmente anche alla nostra porta, per mano di mia cognata. Aveva sentito per radio dell’esistenza di un Centro a Verona che praticava, riveduta e corretta, una ginnastica americana che aveva rimesso in piedi diversi bambini. “Perchè non provate?” ci disse la cognata.

Scrivemmo senza troppa convinzione a Verona, e ci fu fissato un appuntamento….

Oggi sono 5 anni che facciamo fare a M. la terapia di Verona e siamo contenti e sereni perchè, di mese in mese, possiamo notare continui progressi.

Il rapporto con i professionisti di Verona è profondamente diverso dal freddo e distaccato trattamento dell’Istituto Neurologico, per il quale eravamo solo numeri, e non persone.

Al Centro AGOR, possiamo dirlo, esiste una comunicazione umana: ci ascoltano e rispondono alle domande più astruse che un genitore in ansia possa fare e riescono, con la loro preparazione, a non farti sentire un emarginato della società!

Con loro riusciamo persino a “sorridere” dei problemi della bambina perchè ci hanno aperto un orizzonte di speranza che tentiamo di raggiungere insieme, e per me, oggi ne sono sempre più sicura, quell’orizzonte per M. non è poi così lontano.

La mamma di M.